Medicina di Precisione. Farmaco complessità e il principio di precauzione.
Genoma umano. Unicità irrepetibile del probiota umano per singolo individuo e distorsione scientifica concettuale sull’uso dei probiotici e degli integratori alimentari
Premessa
Frequenti sono le domande, interrogativi, questioni sospese, dubbi che sia i medici specialisti di varie aree terapeutiche che delle “Associazioni dei Consumatori” pongono su un argomento di frequente trattazione oggetto di molteplici controversie che Congressi, Meeting, Letture e Relazioni dei vari esperti lasciano regolarmente insoluti e in sospeso immaginiamo per i molteplici interessi economici sottostanti che condizionano un mercato che in Italia vale oltre 600 milioni di euro che pare inarrestabile considerando la continua offerta, consigli, suggerimenti spesso in contraddizione tra loro di questa specifica area merceologica rappresentata da “INTEGRATORI ALIMENTARI” che la feconda fantasia del marketing italiano secondo circostanze e opportunità definisce i: “PROBIOTICI, SIMBIOTICI, POST BIOTICI, PSICO BIOTICI, PROBIOTICI TINDALIZZATI O INATTIVATI, LISATI BATTERICI, FERMENTI LATTICI” i cui benefici, vantaggi e sicurezze sono spesso enfatizzati ma non sono ad oggi provabili né scientificamente dimostrabili. Con l’occasione cerchiamo di dipanare almeno parte delle complessità e delle perplessità e confusione sull’argomento rispondendo nell’occasione ad alcuni specifici quesiti posti dal Dott. Fabio Burigana e dal Dott. Carlo Tonarelli che chiedono testualmente:
«Volevo sapere se i probiotici come il ProbioBENE, sono per caso liofilizzati, perché le critiche che fanno in generale a questi prodotti è che quelli intestinali sono anaerobi estremi, difficile da coltivare su piastra di Petri, quindi spesso quelli in commercio non sono simili ai batteri che abbiamo nell’intestino»
Per definizione tutti i batteri in commercio, quindi di natura esogena, non sono mai simili geneticamente ai batteri esistenti nell’intestino o nei vari distretti del Probiota umano (gastrointestinale, uroginecologico, oculare, respiratorio e dermatologico). Nella migliore delle ipotesi trattasi di ceppi di famiglie simili con identità genetica una diversa dall’altra.
Riguardo ai metodi di coltivazione una delle maggiori difficoltà delle tecnologie farmaceutiche è l’induzione e il mantenimento della anaerobiosi in cultura. Le piastre di Petri vengono poste in apposite camere anaerobie dove i batteri cominciano a crescere, più difficile è il mantenimento della anaerobiosi quando le culture vengono estratte per essere introdotte nelle apparecchiature per il confezionamento dove è molto più complesso mantenere la rigorosa anaerobiosi idonea al mantenimento della specie. Con il confezionamento poi, specie se in capsule, inevitabilmente i batteri vengono in contatto con l’ossigeno atmosferico modificando già in quella fase la loro identità genetica. Resta da dire, per correttezza di informazione, che molte delle specie utilizzate e dichiarate probiotici considerate strettamente anaerobie sono in realtà microaerofile ovvero possono sopravvivere anche a concentrazioni molto basse di O2 (circa 2/18%).
A proposito del prodotto citato che è un “kit composto” quindi è un integratore alimentare di fermenti lattici dall’azienda produttrice definiti probiotici che rappresenta l’insieme delle tre formulazioni PROBIOBASE (blister 1), PROBIOKAL (blister 2) e PROBIOKOS (blister 3) ;
- PROBIOBASE apporta 1 miliardo di cellule vive per tipo di Saccharomyces cerevisiae var. boulardii ed Enterococcus faecium.
- PROBIOKAL apporta un totale di 2,5 miliardi di cellule vive di Bifidobacterium longum, Bifidobacterium Infantis, Bifidobacterium breve e Bifidobacterium bifidum.
- PROBIOKOS apporta 1 miliardo di cellule vive per tipo di Lactobacillus reuteri, Lactobacillus fermentum, Lactobacillus casei e Lactobacillus rhamnosus.
Analizzando con dignità scientifica la formulazione si scopre che PROBIOBASE apporta 1 miliardo di cellule vive: Saccharomyces cerevisiae var. boulardii che è un micete (non un lattobacillo) pertanto non può essere definito probiotico riservato a batteri del genere lactobacillus e bifidobacteria. Tra l’altro lo stesso Saccharomyces cerevisiae var. boulardii in una formulazione monoceppo di altra Azienda è sotto indagine dell’AIFA per alcuni casi di Fungemia anche fatale in soggetti immunocompromessi (vari altri lavori hanno dimostrato questa evidenza), l’E.Faecium pur facendo parte di un corredo microbico presente nel genere umano, quando è somministrato in maniera esogena, è considerato un patogeno facoltativo geneticamente instabile e come tanti altri batteri simili il suo utilizzo è fortemente sconsigliato.
Il blister PROBIOKAL (abbastanza esiguo in CFU/g) Bifidobacterium longum, Bifidobacterium Infantis, Bifidobacterium breve e Bifidobacterium bifidum. quindi tutti di genere Bifidabacteria. Non esistono trials scientifici randomizzati credibili se si esclude in ambito neonatologico e comunque supportate da pubblicazioni realizzate e promosse esclusivamente dalle aziende produttrici o dai distributori commerciali. Pertanto tali pubblicazioni generaliste sono da considerare “di parte” con tutti i giudizi e pregiudizi del caso, considerando che i Bifidobatteri per definizione scientifica così come tutti i probiotici non sono geneticamente stabili e sono anche pro-infiammatori.
PROBIOKOS apporta 1 miliardo di cellule vive per tipo di Lactobacillus reuteri, Lactobacillus fermentum, Lactobacillus casei e Lactobacillus rhamnosus. Sebbene alcuni di questi ceppi siano occasionalmente reperiti su colture fecali umane di medesime famiglie si hanno dati certi e incontrovertibili di effetti collaterali avversi gravi ed anche fatali e questo accade non perché i formulatori vogliono trasformarsi in killer dei loro consumatori ma semplicemente perché probabilmente non conoscono i dettami di base del genoma umano e dell’epigenetica sovrastante trascurando che tutti i ceppi somministrati o somministrabili per via esogena vanno ad impattare con una massa di 1014 CFU/g (centomila miliardi di batteri del Microbiota umano) e con oltre 3,5 milioni dei loro geni, che devono relazionarsi con i 30.000 geni del genoma umano determinando fatalmente e inconfutabilmente quello che viene definito un TRASFERIMENTO GENICO ORIZZONTALE.
Attraverso lo scambio continuo di informazioni genetiche tra i microbi intestinali e quelli addizionati con l’integrazione esogena, si conferiscono caratteristiche plus evoluzionistiche per le popolazioni microbiche residenti, determinando un nuovo meccanismo di relazioni che interviene in maniera spesso molto drammatica per gli esseri umani in quanto può trasformare il più innocuo dei batteri in un killer mortale, come ampiamente dimostrato in letteratura. (Morelli e coll. J Appl.Bactriol. 1988 – Probiotic use in clinical practice: what are the risks? Robert J Boyle, Roy M Robins-Browne, and Mimi LK Tang in Am J Clin Nutr 2006;83:1256–64. Printed in USA. © 2006 American Society for Nutrition).
Quindi per tutte le preparazioni farmaceutiche (farmaci o integratori alimentari) composte da più ceppi microbici- batterici – batteri e non- lattobacilli e bifidobatteri l’intento dei preparatori di formule e delle società produttrici sarebbe quello di avvicinare tali formulazioni alla composizione molto eterogenea del nostro Microbiota. Le famiglie (che sono a loro volta composte da migliaia di ceppi) presenti nel nostro Microbiota sono circa 1.000. Quindi è sufficientemente intuibile che tali intenzioni basate su concetti e conoscenze del secolo scorso non possono essere realistiche ai fini di realizzare dei ceppi batterici per formule di batteri e probiotici mixati senza alcuna conoscenza e studio di quella microbiologia molecolare che in tempi più recenti dal 2006 in avanti ha accertato e documentato le relazioni di antagonismo tra ceppi che spesso, per non dire sempre, sono in competizione tra di loro già nelle confezioni proposte per la vendita subito dopo la produzione, pertanto con concentrazioni dei singoli ceppi indicati molto differenti dalle formule originali, considerando che già nella confezione (busta, capsula etc) cominciano ad interferire tra loro e a scambiare geni per la resistenza antibiotica ed altre caratteristiche genetiche negative o sconosciute non riconoscibili dal sistema immune.
Dall’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sugli integratori alimentari che dichiarano di essere probiotici e di avere effetti specifici sulla salute non sono mai state validate e accettate dagli organi di controllo competenti della CE del Parlamento Europeo. L’uso del termine «probiotico» è considerato come un’indicazione sulla salute non autorizzata quindi non spendibile per i regolamenti dell’Unione Europea. Secondo la Commissione Europea, il termine implica che un beneficio potenziale per la salute, non dimostrabile, può essere fuorviante per i consumatori, a meno che non possa essere validata da prove e meccanismi scientifici certi. Infatti nonostante le numerose domande presentate dalle aziende produttrici di probiotici ed altri integratori alimentari all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), non esistono ad oggi, giugno 2024, indicazioni per claims sulla salute autorizzate per i probiotici. Di conseguenza, i consumatori si trovano di fronte ad etichettature che utilizzano il termine latino per indicare un particolare ceppo di batteri e, di conseguenza, non comprensibile per il consumatore stesso, creando quindi confusione anziché fare chiarezza. (Interrogazione Parlamentare al Parlamento Europeo – E-004201/2017 con risposta) questo è lo stato dell’arte emblematico riferito all’integratore denominato ProbioBENE che non rappresenta l’eccezione bensì quasi la regola.
Emblematico, infatti è il lavoro pubblicato dall’Istituto Superiore della Sanità italiano “National survey outcomes on commercial probiotic food supplements in Italy” (Aureli P et al, Int Journal of Food Microbiology 2010 Feb 28;137(2-3):265-73. Epub 2009. Dec 22) realizzato per valutare gli integratori alimentari probiotici, prodotti e distribuiti sul mercato italiano nel periodo 2005-2006, e la loro conformità alle Linee guida italiane previste su prebiotici e probiotici. Sono state analizzati 72 campioni provenienti da 29 impianti di trasformazione e produzione sul territorio italiano. L’indagine ha incluso 41 campioni provenienti da impianti di lavorazione e 31 campioni della stessa marca provenienti da rivenditori raccolti a intervalli temporizzati (3, 8 e 13 mesi). Per identificare e quantificare i microrganismi marcati e recuperati dagli integratori probiotici esaminati è stato adottato un approccio polifasico basato su un idoneo metodo di raccolta analitico (identificazione genotipica dei batteri totali – enumerazione presuntiva differenziale – identificazione genotipica dei batteri vitali). La maggior parte degli integratori analizzati (87%) non erano conformi alle linee guida italiane e le differenze erano sia quantitative che qualitative (determinazione del numero, purezza, tipologie e vitalità dei microrganismi). Anche se la maggior parte degli integratori etichettati (25 campioni) indicava la presenza di Bifidobacterium bifidum, questo ceppo è stato rilevato solo in alcuni casi sporadici e sempre come cellule morte. Durante tale l’indagine sono stati inoltre ottenuti risultati inattesi a causa dell’assenza di vitalità delle spore di Bacillus coagulans utilizzate in alcuni integratori etichettati. Oltre a ciò, alcuni di questi integratori contenevano anche altre specie sporigene, identificate come B. cereus, che producono tossine. Nella pubblicazione citata è stato documentato un uso diffuso di specie microbiche classificate erroneamente o di specie con nomi fittizi. Sono stati esaminati i principali fattori coinvolti nella mancata conformità ed è stato sottolineato come lo scarso controllo di qualità applicato dai produttori renda genericamente la maggioranza dei ceppi batterici in commercio non credibili né sicuri.
Quindi sulla base dei risultati ottenuti di tutti i lavori scientifici a livello mondiale risulta ben chiaro perché tutte le Authority del controllo farmaceutico internazionale ed europeo (come EMA, EFSA, AIFA, FDA) non riconoscono nessun effetto terapeutico e di efficacia nell’utilizzo dei probiotici e di tutti i ceppi batterici di qualunque tipo e qualità circolante sui mercati internazionali su pazienti che presentano stati di salute alterati, limitandosi a riconoscere e definire gli stessi come “integratori alimentari generici” la cui definizione riconosciuta internazionalmente è: “trattasi di microrganismi, micronutrienti, ceppi batterici, lattobacilli e bifidobatteri, vitamine o prodotti alimentari generici che se somministrati in giuste dosi e in qualità adeguate per il singolo individuo in buone condizioni di salute può mantenere lo stato di salute prolungandolo nel tempo”.
Quindi PERSISTE IN ITALIA UNA VISIONE MIOPE E CONFUSA CHE NON DISTINGUE IL MICROBIOMA UMANO CON IL MICROBIOTA UMANO CHE E’ ANCORA MOLTO ATTUALE TRA GLI ADDETTI AI LAVORI ED IPOTETICI ESPERTI DI SETTORE che produce una divulgazione e comunicazione scientifica ingannevole talvolta strumentale ed eticamente non sostenibile da parte di formulatori e produttori di ceppi probiotici il cui interesse principale è ovviamente quello del perseguimento dei propri profitti commerciali e non quello etico della salvaguardia della salute dei consumatori.
La modulazione del Microbiota intestinale con il ricorso di antibiotici (rifaximina antibiotico dichiarato non assorbibile) antinfiammatori intestinali (mesalazina) probiotici e ceppi batterici (oltre 800 brand circolanti in Italia nessuno con stabilità genetica accertata, molti dei quali con azione pro-infiammatoria e di perturbazione endocrina) è molto diffuso in ambito ambulatoriale e clinico con nessuna evidenza scientifica supportata da prove cliniche credibili. Tale visione, risultato delle ipotetiche conoscenze circolanti dagli anni ‘80 fino alla fine del secolo scorso, è stata superata con la conoscenza del “Sequenziamento del Genoma Umano” avvenuto e validato tra il 2000 ed il 2003 che ha consentito di comprendere il vero ecosistema che vive all’interno dell’organismo umano che si chiama Microbioma, di cui il Microbiota ne è parte quale organo endocrino soggetto a mutamenti tali da incidere sulla salute del suo ospite sia positivamente che negativamente identificando quindi anche i rischi dell’uso clinico indiscriminato di probiotici e comunque di micro batteri esogeni che sono sconsigliati, secondo quanto ricorda la prestigiosa rivista AM. J. Clinic Nutrition 2006 dell’American Society for Nutrition 2006 nei seguenti casi:
- In corso di pazienti immunocompromessi o in stato di debilitazione
- Nei neonati prematuri
- Nei pazienti con tumore
- Nei pazienti con catetere venoso centrale
- Nei pazienti con permeabilità intestinale alterata o Leaky Gut Sindrome
- In tutti i pazienti con infiammazione intestinale o in corso di diarrea, acuta e cronica
- In concomitanza di somministrazione di antibiotici o di farmaci e nei pazienti con rischio di antibiotico resistenza
- Nei pazienti con patologie cardiovascolari complesse e con dispositivi valvolari per malattia cardiaca
Evitando in particolare l’uso di probiotici e di ceppi batterici ad alta adesione con le mucose (che spesso viene presentato come un vantaggio all’utilizzo) affermazione evidentemente ingannevole.
Solo a partire dagli anni 2007 per gli scienziati di settore e a partire dal 2014/2017 per gli specialisti medici la conoscenza più approfondita dell’ “International Human Genoma Project” e dell’”International Human Probiomics Project” promossa dall’Istituto di Ricerca Italiano “Human Microbiome Care” Clinical Advancement in Research and Education organo della Società Italiana Educazionale di Medicina di Precisione ha permesso di comprendere le interrelazioni tra virus, spore, batteri e miceti e i loro geni in relazione ai 30.000 geni circa dell’ospite umano ed ha consentito di individuare, di interpretare i meccanismi di scambio di trasporto e le varie interazioni tra microorganismi, micronutrienti, glicoproteine, oligoelementi, metalli pesanti, molecole tossiche, farmaci, ceppi batterici, probiotici e non che sono alla base dei processi di infiammazione di infezione di alterazione metaboliche e di degenerazioni cellulari riguardanti l’organismo umano che interessa i vari distretti del Microbiota (gastrointestinale, uroginecologico, respiratorio, dermatologico, oculare).
Le considerazioni e approfondimenti per quanto sopra riportato rende più semplice rispondere alla domanda e ai quesiti posti all’Istituto di Ricerca Italiano “Human Microbiome Care” Clinical Advancement in Research and Education organo della Società Italiana Educazionale di Medicina di Precisione, dall’European Society for Clinical Investigation, dalla Longevity Science Society e da alcune ASSOCIAZIONI DI CONSUMATORI e da ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI che è la seguente:
“Volevamo sapere se AKKERMANSIA MUCINIPHILA che è un batterio strettamente anaerobio che viene propagandato quale rimedio per l’obesità (grasso addominale in eccesso) diabete mellito di Tipo II, sindrome metabolica, in grado di prevenire malattie degenerative e effetti negativi della terapia del cancro, quali proprietà o meccanismi di azione possiede o può vantare rispetto agli altri probiotici. Inoltre, vorremmo sapere visti i benefici vantati su malattie complesse se l’identità genetica delle preparazioni distribuite in commercio, pastorizzate e liofilizzate, è simile e compatibile alle medesime famiglie che si trovano nell’intestino degli individui con le patologie da trattare”.
Innanzitutto riteniamo utile alcune considerazioni pertinenti alla domanda posta, tenendo conto che obesità e diabete di tipo II sono delle patologie multifattoriali estremamente complesse ove è vero che il microbiota intestinale svolge un ruolo importante ma non determinante; infatti nei problemi legati all’obesità viscerale, al diabete di tipo II ed all’insulino-resistenza sono coinvolti una serie di fattori e di sistemi biologici, non ultimo il sistema endocannabinoide che rendono sicuramente troppo semplicistica l’ipotesi di una terapia basata su una pseudo-modulazione del microbiota intestinale con l’apporto di A.Muciniphila.
Akkermansia muciniphila è un batterio Gram negativo commensale abituale dell’intestino umano, strettamente anaerobio. Il suo nome è dovuto al fatto che usa il muco intestinale come fonte di nutrimento e come nicchia vitale, essendo fissile (ovvero si riproduce per scissione binaria) e non sporigeno.
La scoperta di questo microorganismo è avvenuta nel 2004 in un laboratorio diretto dal prof. Willem de Vos a Wageningen in Olanda.
Da allora, alcune ricerche prodotte dal prof. Patrice Cani e i suoi collaboratori dell’Università Cattolica di Louvain (Belgio), hanno consentito di conoscere gli elementi del suo corredo genetico. Akkermansia è stato uno dei primi batteri non coltivabili il cui genoma è stato interamente sequenziato.
Akkermansia Muciniphila è un batterio considerato da alcuni ricercatori e dalla società produttrice un probiotico di nuova generazione quindi un integratore alimentare con potenziali effetti benefici (ancora non chiariti), in particolare nei disturbi metabolici e infiammatori.
L’integratore alimentare presentato dall’azienda produttrice è composto da A.Muciniphlila pastorizzata associata e da altri componenti aggiunti come vitamine, cromo picolinato etc.
Poiché A.Muciniphila è un batterio anaerobio stretto la coltivazione ed ancora di più l’allestimento e la conservazione dell’anaerobiosi per preparati ad uso farmaceutico o come integratori alimentari (compresse, buste, etc) risulta sempre di difficile preparazione soprattutto per garantire una shelf-life del prodotto a base di A. Muciniphila pastorizzata associata a varie sostanze di compliance.
Ricordiamo per i non addetti ai lavori che il termine pastorizzazione (da Pasteur) è un processo termico di risanamento degli alimenti in grado di eliminare dal 90 al 97% dei microrganismi viventi; deve il suo nome a Louis Pasteur che applicò questo trattamento per rendere gli alimenti più conservabili e, quindi, commerciabili nel tempo. Questo trattamento avviene a temperature inferiori ai 100° C (solitamente 72-75 ° C) per un periodo che va dai pochi secondi ad alcuni minuti. Il processo con temperature più alte comporta l’ottenimento dello stesso risultato utilizzando temperature più basse ma protratte per tempi più lunghi.
Quindi ai fini degli studi su A.Muciniphila indirizzati verso benefici dimostrabili in vivo da batteri vivi vengono in realtà poi eseguiti con prodotti che invece contengono batteri morti dovuti alla pastorizzazione.
Riscontriamo quindi una visione limitata e non adeguata da parte di alcuni ricercatori e promotori clinici che immaginano di poter indurre una adeguata modulazione di un sistema complesso qual è il microbiota umano composto da migliaia di miliardi di CFU di batteri /grammo di feci con dosi empiriche di batteri considerati probiotici, (nel caso specifico batteri morti) spesso senza curarsi degli effetti collaterali talvolta gravi che gli stessi potrebbero indurre come conferma il regolatorio delle Autorità di riferimento (EFSA, FDA, EMA, e lo stesso Ministero della Salute italiano) relativamente alla presenza accertata di geni che possano trasmettere l’antibiotico-resistenza.
Akkermansia muciniphila è un batterio anaerobio Gram-negativo, abbondantemente presente nell’intestino umano. Alcuni studi sperimentali hanno evidenziato che questa specie potrebbe essere benefica per la salute dell’ospite e che la sua abbondanza nell’intestino umano è inversamente correlata alla presenza di sindrome metabolica (obesità, diabete, malattie cardiometaboliche) e di malattie infiammatorie intestinali. In particolare, il ceppo chiamato DSM 22959T (MucT, ATCC BAA-835), è stato studiato ed enunciato come un potenziale batterio dall’effetto protettivo e benefico contro l’obesità e i disordini metabolici. Alcuni dati peraltro molto limitati derivanti dall’utilizzo dell’integratore alimentare utilizzato su pazienti insulino-resistenti in sovrappeso/obese sembrerebbero confermare che l’integrazione con il ceppo DSM 22959T di A. Muciniphila possa essere, ben tollerato e migliorante i parametri metabolici dei pazienti trattati.
Tuttavia, l’uso di A. Muciniphila nelle formulazioni alimentari o farmaceutiche, la sua efficacia e sicurezza è regolamentabile dal quadro normativo vigente dalle Authority competenti. Secondo il gruppo di esperti scientifici sui pericoli biologici (BIOHAZ) dell’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), una delle questioni aperte riguarda la presenza di geni di resistenza antimicrobica (ARG) nei genomi di questa specie.
Infatti, un aspetto importante da considerare, quando si valuta la sicurezza di trattamenti a base di batteri, è la possibilità di trasferimento di ARG che potrebbero essere acquisiti da batteri nocivi.
Proprio per queste ragioni, si ritiene che A Muciniphila sia particolarmente plastico ed incline a sviluppare resistenza antimicrobica (AMR).
Specificatamente ricordiamo che per definire la sicurezza dei batteri per il consumo umano e animale, vengono utilizzati test fenotipici basati sulla determinazione di una concentrazione minima inibente (MIC) per un gruppo selezionato di antimicrobici, unitamente alla ricerca nell’intero genoma di sequenze note, specifiche per l’ARG. Tuttavia, per quanto riguarda A. Muciniphila non sono ad oggi ancora stati definiti metodi standardizzati per la valutazione della MIC, né valori limite da utilizzare per distinguere i ceppi con resistenza intrinseca o acquisita, principalmente a causa del numero limitato di ceppi coltivabili disponibili.
Recentemente, un gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sulla nutrizione, i nuovi alimenti e gli allergeni alimentari (NDA) ha espresso un parere positivo sulla sicurezza di A. Muciniphila pastorizzato, aprendone la strada al suo utilizzo come integratore alimentare a fini medici. Con l’introduzione di A. Muciniphila nella catena alimentare, insieme ad altri componenti (come vitamine, cromo picolinato etc) la valutazione della suscettibilità antimicrobica di questo batterio diventa, quindi, fondamentale per soddisfare le raccomandazioni di sicurezza dell’EFSA. Ancora oggi, quindi per A. Muciniphila la sicurezza non è stata definita.
Infatti, una pubblicazione “Characterization of antibiotic-resistance traits in Akkermansia muciniphila strains of human origin Filardi, R., Gargari, G., Mora, D. et al. Characterization of antibiotic-resistance traits in Akkermansia muciniphila strains of human origin. Sci Rep 12, 19426 (2022). https://doi.org/10.1038/s41598-022-23980-6” dimostra che l’obiettivo dello studio era proprio quello di caratterizzare il profilo AMR di nuovi ceppi isolati nell’uomo di A. Muciniphila, incluso il ceppo tipo DSM 22959T, integrando approcci fenotipici e in silico (1), per fornire nuove informazioni sulla sicurezza di questa specie di batteri che sono ancora da chiarire.
In particolare, è stato applicato un approccio genomico con la valutazione della suscettibilità agli antibiotici in cinque isolati umani di A. Muciniphila. L’analisi dei geni di resistenza e le determinazioni delle MIC hanno rivelato che solo un ceppo che ospitava il gene tetW mostrava resistenza alla tetraciclina, mentre tutti i ceppi di A. Muciniphila hanno mostrato una bassa sensibilità ai fuorochinolone ciprofoxacina e agli aminoglicosidi, senza correlazione genotipica. La bassa sensibilità a queste classi di antimicrobici sembra, invece, essere dovuta a meccanismi intrinsechi, come il cambiamento nella permeabilità ai farmaci della membrana esterna o delle porine (proteine di transmembranose).
Sebbene tutti i ceppi ospitino il gene adeF, che codifica per una subunità di una pompa di efflusso multifarmaco potenzialmente coinvolta nella resistenza alla ciprofoxacina, la suscettibilità alla ciprofoxacina sembra non essere influenzata. Tuttavia, il coinvolgimento di un efflusso attivo contro composti tossici, come il bromuro di etidio, è stata confermata in tutti i ceppi.
Infine, solo uno dei ceppi ha mostrato tratti preoccupanti, poiché ospitava tre ARG, uno legato alla resistenza alla tetraciclina (tetW) e due (aph (6)-Id, sul2) associati a un MGE (mobile genetic elements) (Tn6205)
Per le ragioni di cui sopra riferite alla sicurezza dei vari ceppi segnaliamo una importante ricerca scientifica considerata basilare e di riferimento anche per gli anni futuri per la ricerca di settore, come afferma l’autore senior dello studio Sergio Baranzini della University of California, che guida l’International Multiple Sclerosis Microbiome Study, un progetto internazionale che mira a comprendere il ruolo dei batteri intestinali nella sclerosi multipla.
Studi precedenti avevano già fornito alcuni dati e valutazioni di merito, ma essendo ricerche con numeri di pazienti selezionati limitati presentavano alcuni fattori critici confondenti, come il background genetico e la posizione geografica dei partecipanti.
Per superare queste limitazioni, Sergio Baranzini e i suoi colleghi hanno studiato il microbiota intestinale di oltre 1.100 persone, metà delle quali aveva la sclerosi multipla.
“Gut microbiome of multiple sclerosis patients and paired household healthy controls reveal associations with disease risk and course”.
I ricercatori hanno infatti reclutato più di 570 pazienti con sclerosi multipla negli Stati Uniti, nel Regno Unito, Spagna e Argentina e hanno selezionato controlli sani geneticamente non correlati dalle stesse famiglie dei pazienti.
Quasi il 40% dei pazienti con sclerosi multipla non aveva ricevuto alcun trattamento. Rispetto alle persone sane, quelle con sclerosi multipla avevano livelli elevati di Akkermansia muciniphila, Ruthenibacterium lactatiformans, Hungatella hathewayi ed Eisenbergiella tayi, nonché quantità ridotte di Faecalibacterium prausnitzii e Blautia.
Nelle persone con sclerosi multipla, i ricercatori dello studio hanno anche riscontrato alti livelli di geni microbici associati a processi biologici come l’infiammazione e il metabolismo delle fibre vegetali, i cui sottoprodotti sono spesso trovati ad alte concentrazioni in questi pazienti.
Quindi allo stato attuale, giugno 2024, non esistono lavori clinici controllati nell’uomo in doppio cieco vs placebo che dimostrano che la supplementazione di uno o più ceppi di A.Muciniphila sia in grado di modificare positivamente l’assetto metabolico e le presunte potenzialità di questi ceppi batterici basano la loro azione solo sul dato che i modelli sperimentali in animale mostrano un decremento di A.Muciniphila nei soggetti obesi ricordando che le autorità di controllo farmaceutico, EFSA, FDA ed EMA, confermano senza dubbi e remore che l’introduzione finalizzata all’aumento numerico di specie batteriche considerate probiotiche nell’intestino umano non hanno alcuna funzione sull’assetto microbico e sullo stato di salute tanto da non riconoscere alcun effetto ai vari probiotici, postbiotici, psicobiotici, probiotici tindalizzati o inattivati, ai batteri lattici e non, proposti nelle terapie di malattie o sindromi complesse rilevandone i limiti e potenziali problemi già ampiamenti discussi.
Poiché il MICROBIOMA INTESTINALE modifica ed è modificato da fattori epigenetici legati all’individualità del soggetto, paradossalmente potrebbero essere proprio le condizioni favorenti l’obesità (sicuramente multifattoriali) a determinare, per modifica dell’epigenoma, la carenza di alcune specie intestinali tra cui A.Muciniphila e non viceversa.
Nel complesso, i risultati dei dati esistenti hanno rivelato l’incongruenza della presenza in eccesso o in difetto nel microbiota intestinale di ceppi di A. Muciniphila, quale target rivelanti patologie diverse a seconda se sono in eccesso o in difetto (vedi nei pazienti con sclerosi multipla) tali da imporre nuovi test di sensibilità agli antibiotici ad un numero maggiore di nuovi isolati di A. Muciniphila per valutare gli aspetti legati alla sicurezza di questa specie ancora oggi non definita. È quindi importante attenersi alla necessità e l’esigenza di protocolli standardizzati per valutare la suscettibilità antimicrobica di A. Muciniphila a favore di un’equa analisi comparativa tra diversi laboratori e istituti di ricerca indipendenti e non condizionabili dagli interessi delle società di produzione e commercializzazione.
Una opportuna replica alla domanda posta da medici specialisti in gastro-reumatologia e da alcuni partecipanti di un recente e importante congresso internazionale di gastroenterologia svolto in Italia che rivolgendosi alla Società Italiana Educazionale Medicina di Precisione hanno chiesto: l’utilizzo del ceppo E.Coli Nissle può essere utile per il ripristino delle condizioni alterate della permeabilità intestinale in soggetti con IBS? Esistono prove di efficacia e sicurezza di tale ceppo definito probiotico dalla società che lo distribuisce e lo commercializza in Italia su pazienti con patologie infiammatorie e con alterazioni metaboliche? E quali eventualmente sono i meccanismi di azione?
Rispondiamo in primo luogo che tutti i batteri Gram negativi (metodo utilizzato per classificare i batteri in funzione delle caratteristiche della loro parete cellulare) non possono essere definiti probiotici secondo i criteri che, attualmente determinano e identificano un probiotico, definizione riservata ai batteri lattici che microbiologicamente parlando sono dei batteri Gram+ positivi. Inoltre, un argomento dissonante rispetto ad una utilizzazione del ceppo E. Coli Nissle nei pazienti con IBS è che le pubblicazioni esistenti su questo argomento fanno riferimento a lavori condotti in vitro e non in vivo, ovvero in condizioni di laboratorio che identificano eventuali comportamenti su colture cellulari ma in condizioni di assenza di altri batteri competitivi per substrato. I recettori cellulari umani sono di derivazione genetica individuale, pertanto, gli eventuali risultati riscontrati dovrebbero essere filtrati ed interfacciati su studi in vivo per verificarne l’effettiva utilità. Tra l’altro la pubblicazione di riferimento è stata condotta su cellule CaCo-2 linea cellulare epiteliale umana Caco-2 che è stata ampiamente utilizzata come modello della barriera epiteliale intestinale. La linea cellulare Caco-2 deriva originariamente da un carcinoma del colon. Tuttavia, una delle proprietà ipotizzate è la capacità di differenziarsi spontaneamente in un monostrato di cellule con proprietà tipiche degli enterociti assorbenti con orletto a spazzola come quelli presenti nell’intestino tenue, in realtà, la linea cellulare Caco-2 è eterogenea e contiene cellule con proprietà leggermente diverse. Pertanto, è logico aspettarci che le condizioni di coltivazione selezionino la crescita di sottopopolazioni di cellule quale risultato di un sistema modello cellulare con proprietà che possono differire dalla linea cellulare originale. Di conseguenza, i risultati ottenuti in condizioni sperimentali simili in laboratori diversi potrebbero non essere direttamente confrontabili. Per questo motivo, è stata stabilita e descritta in letteratura una varietà di linee cellulari Caco-2 clonate.( In: The Impact of Food Bioactives on Health: in vitro and ex vivo models [Internet]. Cham (CH): Springer; 2015. Chapter 10. DOI: 10.1007/978-3-319-16104-4_10).
Ricordiamo che E.Coli è un batterio Gram negativo pro infiammatorio specie e genere Escherichia che se ne distinguono oltre 170 sierotipi ognuno con una diversa combinazione degli antigeni che spesso determina, per trasferimento genico orizzontale, ceppi enteropatogeni, enteroinvasivi, enterotossigeni (causa di diarrea del viaggiatore), enteroaderenti (responsabili di diarree spesso intrattabili dei bambini nei Paesi in via di sviluppo), enteroemorragici etc.
Per le complessità descritte quindi il ceppo E. Coli essendo tra l’altro non geneticamente stabile e difficilmente distinguibile tra le diverse specie di famiglie di Escherichia esistenti quando sono in competizione tra loro e con altri batteri esistenti nell’organismo umano, non è stato sino ad ora possibile produrre prove di efficacia e sicurezza né di meccanismi di azione dimostrabili.
Il Ceppo Nissle 1917 (si chiama così perché venne isolato per la prima volta durante la Grande Guerra dal medico tedesco Alfred Nissle dall’intestino di un soldato che non si ammalava di dissenteria). Tale report e valutazione empirica risale a dati prodotti oltre 200 anni fa quindi prima dell’avvento degli antibiotici, prima del sequenziamento del genoma umano e precedentemente allo sviluppo della medicina genomica e alla conoscenza approfondita delle interrelazioni con microbioma umano.
In realtà l’utilizzo di tale ceppo è stato considerato incoraggiante in attività di laboratorio sperimentale poiché l’Escherichia Coli per la sua capacità replicativa molto rapida può essere un ceppo la cui ingegnerizzazione finalizzata allo scopo di produzione di molecole farmaceutiche sembra essere interessante. Diversamente l’uso di tale ceppo (pro-infiammatorio e geneticamente instabile) su pazienti con disturbi funzionali o patologie infiammatorie o alterazioni metaboliche non consentendo valutazioni relativamente ai potenziali rischi individuali in relazione dei propri geni in funzione dei geni dell’ospite di un ambiente presenta molti limiti e dubbi e quindi non è consigliabile in pazienti o individui in corso di malattie infettive o da patologie infiammatorie.
I fattori che influiscono sui potenziali errori iatrogeni determinati dall’uso improprio di farmaci, probiotici, prebiotici ed integratori alimentari sono quindi a parere dell’ ”ISTITUTO DI RICERCA ITALIANO – HUMAN MACRIOBIOME CARE”:
- Assenza di una processualità storico-amnestica del medico che implica una visione sistemica più moderna dello stato di salute bio-fisico-sociale-transgenerazionale e di genere quello che LA SOCIETA’ ITALIANA EDUCAZIONALE DI MEDICINA DI PRECISIONE definisce
“FILO-ONTO-EPIGENESI-SISTEMICA” - Confusione e mancanza di specifica conoscenza tra “MICROBIOMA E MICROBIOTA” due termini spesso usati come sinonimi ma che in realtà sono profondamente diversi nel significato e per le interrelazioni con il Sistema Immune Umano tra le due parole.
Si ricorda a tal proposito che:
Microbiota: una comunità di microorganismi che abita in un determinato ambiente (vedi i vari distretti gastrointestinale, uroginecologico, respiratorio, dermatologico, oculare) tra i quali batteri, virus, funghi, fagi, parassiti, miceti, etc.
Microbioma: una comunità di microorganismi (Probiota) in relazione ai loro geni e al loro ruolo all’interno di un ambiente specifico in funzione delle interrelazioni con i geni dell’ospite (Genoma Umano con i suoi 30.000 geni).
- Mancanza di conoscenza della Farmacogenomica e Nutrigenomica, scienze derivanti dalla Biologia Molecolare Clinica sviluppatesi dal 2003 in avanti che ha consentito di divulgare presso il mondo scientifico di settore i primi complessi molecolari Nutrigenomici e Farmacogenomici.
- Deserto culturale sulle interrelazioni tra Microbioma Umano, Genoma Umano e le Scienze Omiche, come Metabolomica, Proteomica, Genetica, Lipidomica, Trascrittomica ed Epigenetica le cui conoscenze e approfondimenti consentono di interpretare, attraverso anche programmi ad hoc di intelligenza artificiale, le relazioni tra centomila Miliardi di batteri e di microorganismi circolanti nell’organismo umano in relazione ai circa 3,5 Milioni dei propri geni che devono a loro volta relazionarsi con i circa 30.000 geni del Genoma Umano in funzioni variabili per ogni specie e ogni singolo gene anche in relazione ai i fattori trascrizionali epigenetici individuali che regolano il sistema immune innato e anche quello adattivo.
CONCLUSIONI
In conclusione, i ricercatori scientifici e clinici di settore non dovrebbero mai dimenticare che siamo una comunità di circa 8 miliardi di esseri umani, ognuno diverso dall’altro, identificati da 8 miliardi di Genoma Umano differenti che producono 8 miliardi di Microbioma differenti e 8 Miliardi di Probiota Umani specifici e variabili minuto per minuto, in base ai fattori trascrizionali dell’Epigenoma individuale.
Il “Manifesto for the Probiotic and Food Supplement in Europe” pubblicato dall’ IPA il 9 dicembre 2023 evidenzia il caos, mancanza di regole e quindi di sicurezza di centinaia di etichette e di integratori alimentari contenenti probiotici che sebbene siano usati nella pratica clinica tanto negli adulti che nei bambini sia a seguito di prescrizioni mediche che di automedicazione nella realtà dei fatti è che studi rigorosi indipendenti e validabili che ne esaminano efficacia, soprattutto meccanismo di azione NON ESISTONO.
I dati fino ad oggi (2024) disponibili derivano da studi non controllati o numericamente insignificanti poiché studi sperimentali controllati randomizzati che permettono di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione sono pressoché impossibili da realizzarsi poiché la complessità di tali studi derivano in particolare dalla instabilità genetica e dalla difficile tracciabilità dei ceppi batterici, probiotici e non, che non consente soprattutto nelle prove in vivo di identificarne un meccanismo di azione e la competitività specifica verso altri ceppi né di individuarne le interazioni e le modifiche genetiche che sono palesemente diverse per ogni singolo individuo.
Si ritiene quindi utile, attraverso una corretta informazione indipendente, dare comunicazioni update efficaci, adeguate e pratiche, giovevoli a contrastare una comunicazione non scientifica, né basata sull’evidenza, che risulta essere ingannevole e spesso fuorviante per la gestione clinica delle varie malattie e dei disturbi funzionali più frequenti che richiedono un intervento medico qualificato secondo i canoni di una Medicina di Precisione idonea a contribuire e a promuovere la salute e il benessere di tutte le persone attraverso una educazione e formazione medica ed un aggiornamento scientifico sempre più rigoroso e inclusivo.
“Istituto di Ricerca Human Microbiome Care”
Clinical Advancement in Research and Education
Società Italiana Educazionale di Medicina di Precisione
(1) Negli ultimi 20 anni una serie di metodi computazionali hanno permesso di sviluppare modelli computerizzati in grado di predire un’enorme quantità di dati misurabili nel singolo paziente, consentendo al medico di assumere la migliore decisione possibile. Il termine In Silico descrive la modellizzazione, la simulazione e la visualizzazione di processi biologici e medici nei computer, facendo riferimento al silicio impiegato nei microprocessori.
La Medicina “In Silico” utilizza tecnologie per creare modelli computerizzati in grado di assistere nella diagnosi, predire la prognosi e simulare l’effetto delle terapie disponibili, al fine di personalizzare il trattamento. Tali tecnologie possono essere utilizzate per supportare la decisione medica per un singolo paziente (Digital Patient) o per assicurare la sicurezza e l’efficacia dei nuovi prodotti medici, riducendo l’impiego della sperimentazione animale e umana (In Silico Trials).
La Medicina in Silico consentirà di rispondere all’aumento di richiesta di assistenza sanitaria, con significativi vantaggi economici, sostanziali riduzioni della spesa e miglioramento della qualità delle prestazioni e delle cure. Le sole tecnologie Digital Patient potrebbero consentire risparmi di oltre il 30% sul costo dei percorsi della medicina avanzata, favorendone la diffusione con modesti costi marginali, mentre le tecnologie di sperimentazione In Silico potrebbero ridurre il costo di sviluppo e la valutazione regolatoria mediamente di 150 Milioni di Euro per un nuovo farmaco.Il documento introduce il concetto di “donatore di dati clinici ad uso esclusivo della ricerca” ed un nuovo modello di consenso informato che autorizza indefinitamente o fino alla revoca del consenso, l’uso dei dati clinici del donatore in un database di ricerca. Infine, auspica la promozione di standard di interoperabilità per attivare un unico sistema informativo per la gestione del fascicolo sanitario elettronico e la creazione di uno scenario di integrazione totale dei dati cli
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!